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Published: Feb 02 Posted Under:

IL TEMPIETTO DI SAN PIETRO IN MONTORIO: la "grandemente piccola" opera bramantesca

"Bramante fu il primo a mettere in luce la buona e bella architettura che dagli antichi sino a quel tempo era stata nascosta."

È con queste parole che Palladio descrisse l’opera dell’architetto Bramante, suo contemporaneo, che nel primo decennio del Cinquecento progettava il Tempietto di San Pietro in Montorio, sul colle Gianicolo.

Alla base della creazione del progetto bramantesco vi era il tentativo di conciliazione tra gli ideali umanistici e gli ideali cristiani del tempo, tentativo volto alla massima esaltazione di Pietro come Pontefice Romano.
Attraverso una serie di disegni realizzati dall’architetto e teorico Sebastiano Serlio, é nota l’iniziale idea di inserire la struttura del Tempietto circolare all’interno di un cortile anch’esso della medesima forma geometrica.
Non si trattava certamente di una scelta casuale: nel pensiero rinascimentale, infatti, il cerchio rappresenta il mondo e la stessa perfezione divina.

Non é solo la forma del Tempietto ad avere una giustificazione tanto precisa; anche il luogo scelto non è assolutamente casuale. Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, recita il Vangelo secondo Matteo. E proprio con il martirio di Pietro ha inizio il flusso spirituale della Chiesa. Sul monte aureo fu infitta la croce di Pietro e da allora, per virtù del santo, Roma divenne città centro del mondo.
Non a caso il Tempio ad egli dedicato nasce da un cuore centrale, il punto di infissione della croce stessa, e si dilata attraverso una serie di assi radiali verso il muro perimetrale del cortile porticato.

In alzato la struttura é suddivisa in tre livelli distinti e sovrapposti: una cripta sotterranea al di sopra della quale si erge un corpo cilindrico circondato da un peribolo dorico, coronato da una cupola semisferica su tamburo finestrato.
Profondo ed estremamente poetico é il messaggio allegorico nascosto tra le colonne marmoree della fabbrica: la cripta, sotterranea, rappresenta gli Inferi; il corpo del Tempio diviene allora la Chiesa che domina la sfera terrena; il pavimento, cosmatesco, riporta sul proprio corpo un simbolo medievale che allude al grande labirinto che é la vita umana; la cupola, che tutto ricopre e protegge, diviene allora espressione della sfera celeste, con a capo Cristo nella gloria dei cieli.

Non é tutto; un’altra circostanza piuttosto significativa riguarda la particolare attenzione posta nei confronti di alcuni numeri, in particolare, che sembrano essere privilegiati all’interno dell’impianto. Tra questi, il numero 16, che misura le colonne del Tempio nonché del portico anulare che lo circonda; il numero 16 può essere scomposto nelle cifre 10 e 6 che, secondo la disciplina matematica, sono tra i cosiddetti numeri perfetti. Ma ancora, il numero 16 comprende la sua metà, il numero 8, il quale richiama la nascita del Mondo, otto giorni dopo il principio della creazione. Otto sono le nicchie e le finestre e quattro, sua metá, sono gli ingressi al cortile.
Attraverso sistemi linguistici di questo tipo il programma dell’opera si poneva l’obiettivo di esprimere il messaggio universale dell’architettura bramantesca e della religione cristiana.
Bramante, primo architetto del prestigioso cantiere dell’attuale Basilica di San Pietro, voleva creare un edificio moderno che apparisse progettato alla maniera degli antichi, perché avesse prestigio e autorità al pari dei monumenti romani.

Progettando un impianto radiale, Bramante dovette pensare attentamente alle dimensioni dei singoli elementi proposti, definendoli proprio attraverso l’utilizzo degli assi radiocentrici sui quali si basa l’intero impianto.
Per questo motivo le colonne del peribolo esterno risultano più corpose rispetto a quelle del portico della cella.
Purtroppo il progetto non fu mai realizzato nella sua interezza.
I problemi più importanti furono dovuti alla dimensione piuttosto limitata dell’opera. Studiando attentamente la planimetria serliana si è subito notato come le paraste corrispondenti alle colonne esterne ed interne risultassero rispettivamente più grandi e più piccole delle colonne di riferimento, concetto assolutamente corretto dal punto di vista compositivo dell’opera ma in netto contrasto con il concetto stesso di parasta, la quale altro non dovrebbe essere che la semplice proiezione del supporto verticale (precisamente la colonna), e quindi larga quanto quest’ultimo.
Fu forse per questo motivo che mai, prima di Bramante, si era pensato di inserire l’elemento della parasta su di una cella circolare?
Bramante tentó di ovviare a questo problema non, come si potrebbe pensare, restringendo le paraste delle colonne minori, bensì tentando, seppur in maniera piuttosto approssimativa, di riprenderne le dimensioni.
E fu proprio per questo motivo che l’architetto si scontrò con una problematica ancor più profonda: la non universalità delle regole.
Così, se l’Umanesimo postulava l’assolutezza delle regole architettoniche a prescindere dalle dimensioni del manufatto, Bramante sembra porsi nella posizione di dover saggiare tale principio sondando nel Tempietto i limiti del grandemente piccolo e dell’immensamente grande, scontrandosi con la complessità soprattutto della prima.

Si spiega, dunque, la ridotta spazialità riservata ai vuoti rispetto ai pieni; le finestre sembrano quasi soffocate dalle solidità laterali, tanto che le mostre delle aperture non trovano posto sulla parete cilindrica. L’architetto lavora, quindi, su lievi aggetti, scavi violenti, cavità ombrose, generando un ritmo incalzante in costante tensione.

Ed é sicuramente questo il punto di espressione più alto della poetica bramantesca.
Dalle difficoltà egli trae ispirazione per la personale espressione, fino al posizionamento della porta principale.

Al fine di esaltarne il significato simbolico e non solo pratico di accesso alla Chiesa, Bramante realizza una porta assolutamente fuori scala, di dimensioni maggiori di quelle disponibili, tagliando bruscamente le paraste laterali e negando dunque il valore portante di queste ultime.
Bramante si libera da qualsiasi vincolo del metodo e chiude la sua opera straordinaria inserendo un lanternino, alto e visibile, sulla cima della cupola, che consenta all’osservatore di comprendere quale sia il perno ideale dell’intero progetto, l’asse verticale che, come una freccia, scatta dal punto in cui fu infissa la croce e si ricongiunge al Cielo nella glorificazione dell’apostolo.

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